Editoriale [ottobre]

Osservazioni nel corso della Devastazione
II

Il libro di Storia è in crisi perchè «non c’è più inconscio»?

Pur essendomi alquanto appassionato alle tematiche trattate con Press & Archeos – dal punto di vista editoriale ma anche autoriale -, non ho mai smesso di osservare alcuni aspetti diciamo “sinistri” e calcolare alcuni pericoli che seguivano come un’ombra la mia attività e quella di altri colleghi o collaboratori.
Se forse nel mio caso le interrogazioni e le perplessità hanno rasentato qualche eccesso, credo al contempo che in molti, ricercatori o appassionati, abbiano vissuto la loro attività di ricerca senza farsi carico di certi aspetti, procedendo talvolta in modo evidentemente inconscio, tra proiezioni e rimozioni abissali.
Per quanto mi riguarda, quando queste “ombre” ammiccavano sullo sfondo, ho dovuto adottare per lo meno un atteggiamento ironico. Ma salvaguardarsi ovviamente è impossibile: non basta la presunta lucidità, non basta la promessa di un’utopica rigorosità (che è di per sé, molto spesso, narcisistica) e non bastano nemmeno i motti di spirito (così connaturati, in fondo, alla mia stessa fiorentinità che aggiunge problematiche ad altre problematiche).

Di cosa sto parlando? Occuparsi di uomini vissuti nel passato, sia in senso specificamente storico quanto in senso tematico e antropologico, comporta sempre una certa proiezione personale, un’immaginazione attiva, una ricostruzione fantastica che, nel profondo, la nostra anima tesse, per gioco o per strategia, nei confronti del nostro io.
I Grandi ricercatori hanno saputo sfruttare questo aspetto: penso anzitutto ad ottimi oratori, per i quali il dramma della “proiezione” rivive nel tenore della voce, nella capacità di divulgare e al contempo approfondire, di rendere la ricerca stessa un forma teatrale o un’avventura. Penso ad altri che nel silenzio del loro studio hanno saputo esprimere, con sincerità, scoperte piccole e grandi, e spesso realmente “sofferte”. Ma la maggioranza, in ambito accademico come in situazioni popolari, sembra preferire tacere o arginare questi aspetti, sviluppando un apparente distacco. D’altro canto gli “indagatori” e i “curiosi” sono capaci di confondere queste proiezioni con entità animate e autonome, cavalcarne pericolosamente gli istinti in cerca di indizi e collegamenti utili, anzitutto, alla propria soddisfazione personale.
Comunque vada credo che ogni ricercatore, qualsiasi esso sia, sviluppi dei legami psicologici e profondissimi con quella fonte, quel reperto, quel cranio (ecco il caso più eclatante!) che è emerso dalla terra o dallo scavo archivistico-bibliografico. L’antico individuo su cui si sta ricercando sembra aver qualcosa a che fare con la nostra attività: ci sta ringraziando perché lo riscopriamo o maledicendo perché destiamo il suo oblio; ci somiglia in un senso o in un altro e di certo avrebbe qualche lezione da impartirci. Nessuno mi convincerà che, sotto sotto, non succeda qualcosa del genere anche nella mente dei più analitici ricercatori.

Ora il punto è che – e ci avviciniamo alla questione della morte del Libro – queste proiezioni, se a un certo livello (quello superficiale) si condensano spesso in soluzioni positive, persino etiche, richiamando l’individuo ad una prolifica interrogazione esistenziale, dall’altro (quello più profondo) esse aderiscono pericolosamente ad uno strato viscerale, terribilmente umano e drammaticamente personale. Voglio dire che le proiezioni suddette, tanto più se rimosse, richiamano in modi diversi i traumi personali, le ataviche negatività che il ricercatore, come persona, si porta “dietro”. Questo fatto l’ho riconosciuto in me, nei miei momenti peggiori e “drammatici”, quanto in alcune persone che ho frequentato e conosciuto, credo, a fondo.
Così, la Ricerca sembra avere il potere di far affiorare certi complessi, dando l’occasione di risolverli con qualche insight o con gesti legati al linguaggio stesso della scienza applicata. Ma al contempo, quando non c’è nessuna intenzione di ammettere l’esistenza di questi materiali, essi possono far sprofondare la ricerca stessa in un baratro oscuro da cui è impossibile “risalire scientificamente” e da cui è difficile, davvero difficile, essere salvati o semplicemente destati.
Non basta insomma, per giustificarsi, parlare di “amore per i libri” o di “rivalutazione del territorio”, perché c’è sempre altro in ballo. E se si è giù, si è ineluttabilmente giù.

Che tutto questo sia drammatico e notevole, affascinante quanto inquietante, resta il fatto, almeno per me, che l’interesse per la Storia, e in particolare per il Libro di Storia, dipenda in buona parte dal fascino di queste possibilità di proiezione che si offrono all’anima. Non importa se stiamo leggendo le Lettere di Cicerone, un libro sulle streghe, le gesta di un santo o una cronaca di lotte partigiane. Certo, potremmo sostenere che quanto detto sia peculiarità della letteratura in senso lato; ma penso invece che sia proprio quell’oscura contaminazione con la realtà (certo una realtà ormai risognata e fluttuante ma comunque fisicamente verificatasi), quell’appiglio quasi materialistico e talvolta perverso all’evidenza storica di un vissuto, a permettere la veicolazione di una sorta di diverticolo libidico e a scatenare il nucleo del fascino che questo o quel Libro ha suscitato in noi.
Insomma la Storia piace, a molti di noi, anche perché abbiamo tanta ombra da proiettare, riproiettare e collaudare, ridimensionare ogni volta.
Così, oggi che il Libro, e in particolare il Libro di Storia è in evidente crisi (e non raccontiamoci di no!), come possiamo pensare che non vi sia un legame dinamico tra l’ombra del lettore e la Devastazione in atto nei territori del nostro intelletto?

Il punto, forse, è semplicemente questo: se l’uomo è sempre più senza inconscio (o qualcosa del genere), allora non c’è più nemmeno un ombra; e non si anima più, nel bene o nel male, la proiezione di cui sopra.
A pensarci, se andiamo avanti così non ci sarà più nemmeno il “rischio” (suddetto) di rimuovere certi “materiali”, perché essi non esisteranno più (?) o saranno decaduti nel tartaro più profondo.
Insomma, la Morte del Libro di Storia potrebbe essere una scontata conseguenza di una problematica “clinica” collettiva. L’avvento degli Ebook, di internet e cose simili sarebbero solo degli aspetti di portata secondaria, la semplice apparenza del problema.

Come comportarsi innanzi a tutto questo? Non possiamo intervenire su dinamiche così complesse, ma possiamo cominciare a riconoscere in noi, frequentatori di certi Libri, un valore raramente espresso e quindi prezioso. Il solo ricreare il contesto della proiezione della propria ombra sul passato, con la mediazione di altri autori e lettori-autori, ha un ché di magico e al contempo un’importanza antropologica per la conservazione di specifiche possibilità. Si tratta a tutti gli effetti di una piccola azione rituale inter-personale.
Da questo punto di vista, addirittura, non è nemmeno importante la “qualità delle ombre”.

Così forse, il lettore-ricercatore stesso è di per sé un reperto, ed in quanto tale brilla di una luce speciale, che possiamo sentire talvolta farsi strada in noi.
Se poi c’è pure lucidità, coscienza di sé stessi e dei propri fantasmi, allora l’incontro può essere sublime, o semplicemente utile a sé stessi.

continua

non-c'è-più-l'inconscio LP